Donald Trump ha escluso gli smartphone, alcuni computer e altri dispositivi come i router dai dazi reciproci con la Cina. La tregua ‘hi tech’ nella guerra commerciale con Pechino è formalizzata in un avviso pubblicato nella tarda serata di venerdì dalla Customs and Border Patrol, responsabile della riscossione dei dazi.
I cellulari, insieme ai router e a determinati computer e laptop “sarebbero stati esentati dalle tariffe reciproche, che includono i prelievi del 125% imposti dal presidente americano sulle importazioni cinesi”.
Il provvedimento va a vantaggio in particolare della Apple, a giudicare anche dai dati che evidenziano i media a stelle e strisce. Circa il 90% degli iPhone vengono prodotti e assemblati in Cina, in base alle stime di Wedbush Securities. Secondo Counterpoint Research, un’azienda che monitora le spedizioni mondiali di smartphone, Apple negli Stati Uniti ha prodotti sufficienti per 6 mesi. Senza l’esenzione di Trump, i prezzi sarebbero destinati a salire da ottobre-novembre, con la vendita di prodotti ancora da importare.
L’esenzione, scrive il Financial Times, “è il primo segnale di un ammorbidimento delle tariffe di Trump rispetto alla Cina“. L’amministrazione americana aveva già esentato diversi settori dalle tariffe reciproche, tra cui i semiconduttori e i prodotti farmaceutici.
La mossa dell’amministrazione americana potrebbe avvantaggiare aziende come Apple, Samsung, HP, Dell e Microsoft che producono parti dei loro prodotti elettronici al di fuori degli Stati Uniti. In particolare, ricorda il Financial Times, Apple concentra ancora in Cina la sua catena di approvvigionamento e, secondo gli analisti, l’80% degli iPhone sarebbero ancora made in China, nonostante l’azienda stia lavorando per spostare parte della produzione in India.
I sospetti di ‘insider trading’
Negli Stati Uniti, la strategia della Casa Bianca è al centro del dibattito politico. Il dietrofront del presidente, che mercoledì ha annunciato lo stop ai dazi reciproci per 90 giorni, secondo il partito democratico sarebbe associabile ad una manovra di insider trading. I senatori dem hanno acceso i riflettori anche sull’attività social del presidente nelle ore che hanno preceduto l’annuncio. “Questo è il momento di comprare”, ha scritto Trump sul social Truth.
“Chiediamo alla Sec di indagare per stabilire se l’annuncio dei dazi, che ha provocato il crollo dei mercati e la conseguente parziale ripresa, abbia arricchito esponenti dell’amministrazione e amici ai danni degli americani”, si legge nella lettera inviata da Elizabeth Warren e altri senatori democratici per chiedere un’inchiesta.
Nella lettera si chiede precisamente di stabilire se persone vicine alla Casa Bianca “compresi familiari del presidente, fossero a conoscenza in anticipo della pausa dei dazi” e abbiano “abusato” di questa conoscenza per “fare delle transazioni finanziarie prima dell’annuncio del presidente”.
“Non è chiaro quali funzionari e affiliati del presidente Trump conoscessero in anticipo il suo piano di rinviare i dazi, ma avrebbero potuto sapere che stava per annunciare la pausa e che i mercati sarebbero migliorati“, si legge nella lettera in cui si accusa Trump di aver provocato con i suoi “irrazionali, irresponsabili dazi” un caos che ha portato a un “drammatico crollo dei mercati finanziari americani”.
L’accusa alla deputata Green
La lettera alla Sec dimostra come i democratici intendano insistere sulle accuse di un possibile insider trading, dopo che nei giorni scorsi hanno già puntato il dito contro la deputata Marjorie Taylor Green, che nei giorni del crollo della borsa ha acquistato titoli tecnologici, compresi quelli di Apple, poi risaliti dopo l’annuncio di Trump mercoledì scorso.
“Dobbiamo indagare sul possibile insider trading di persone come la deputata Greene, dobbiamo indagare per sapere se lobbisti di K Street e altre grandi società hanno ricevuto informazioni sulle azioni di Trump” ha concluso il deputato dem Gregorio Casar.