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INFERTILITÀ MASCHILE: TROVATI BATTERI NEL LIQUIDO SEMINALE CAPACI DI RIDURRE LA CONCENTRAZIONE DEGLI SPERMATOZOI

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L’eccesso di alcuni ceppi di Pseudomonas, Prevotella Lattobacilli nel liquido seminale sarebbe in grado di alterare la concentrazione degli spermatozoi favorendo un micro-ambiente infiammatorio, nemico della fertilità maschile. A dimostrarlo due review condotte dai ricercatori dell’Università di Napoli “Federico II”, insieme a colleghi brasiliani e danesi, e dagli esperti dell’Università di Padova, pubblicate di recente su Frontiers in Endocrinology e Cells. Dai due lavori, che hanno preso in considerazione rispettivamente 37 ricerche e 27 studi, è emerso come un aumento di ceppi di Prevotella e Pseudomonas e l’incremento di Lactobacillus iners, siano fattori di rischio per la concentrazione spermatica nel liquido seminale causandone una riduzione sotto la soglia minima stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e necessaria per la fertilità maschile. Gli esperti della Società Italiana di Andrologia, in occasione del VI Congresso Natura, Ambiente, Uomo (NAU) che si terrà oggi e domani nelle Langhe, focalizzeranno l’attenzione su questo tema di primaria importanza, in quanto si stima che un numero ridotto di spermatozoi sia causa o concausa di almeno il 30% dei casi di infertilità di coppia. Sono infatti numerosi gli studi che hanno rilevato come negli ultimi 50 anni ci sia stato un significativo declino globale della concentrazione e della conta spermatica totale, il cui numero si è dimezzato negli ultimi decenni e il cui ritmo di riduzione è più che raddoppiato dal 2000.

Un tempo si riteneva che il liquido seminale fosse naturalmente privo di batteri; qualsiasi microbo trovato tra gli spermatozoi era considerato un segno di infezione. Ma le ricerche più recenti, seppur ancora in fase iniziale, stanno ora dimostrando che lo sperma ha una propria comunità microbica, proprio come ad esempio già individuato per l’intestino e la vagina – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli –Il microbioma dello sperma può contenere un ampio insieme di microbi, la maggior parte proviene dalle ghiandole del tratto riproduttivo superiore, compresi i testicoli, le vescicole seminali e la prostata. Tali batteri, se in equilibrio, lavorano per il nostro benessere, ma se in eccesso potrebbero avere un potenziale ruolo nell’infertilità”.

Da tempo l’alterazione del microbioma riproduttivo femminile è stata associata a esiti ridotti o negativi della gravidanza, ma ora sempre più studi stanno evidenziando come anche gli uomini che presentano alterazioni nell’ottimale fisiologia spermatica, abbiano una differente composizione del microbiota rispetto agli individui fertili e come questa possa essere associata a condizioni di oligozoospermia, quando cioè lo sperma maschile contiene un numero di spermatozoi più basso del normale – sottolinea Palmieri -. In particolare, l’analisi a cui hanno partecipato i ricercatori dell’Università di Napoli “Federico II”, che ha preso in considerazione 37 studi condotti tra il 1980 e il 2023 su oltre 9300 uomini, ha rilevato un eccesso di ceppi di Prevotella e Lactobacillus negli individui con ridotto numero di spermatozoi, rispetto a uomini con conta spermatica normale. Risultati confermati dalla review condotta dai ricercatori dell’Università di Padova, su 27 lavori raccolti sulla piattaforma PubMed fino al 2023, che ha identificato anche la presenza di alte concentrazioni di ceppi di Pseudomonas. Le ricerche hanno rilevato che, soprattutto l’eccesso di Lactobacillus, può produrre acido lattico, portando potenzialmente a un ambiente infiammatorio a livello locale che può influire in modo negativo sul numero degli spermatozoi”.

I dati che si stanno accumulando, e il livello di prove in questo campo, è certamente in constante crescita, ma lo studio del microbiota del liquido seminale rappresenta ancora un aspetto trascurato della diagnostica dedicata all’analisi dell’infertilità maschile. Ha però grandi potenzialità nel migliorare la comprensione delle forme cosiddette “idiopatiche” o “sine causa” – sottolinea il presidente SIA -. Queste conoscenze potrebbero cambiare le cure e aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per correggere le alterazioni dei parametri spermatici e migliorare la fertilità maschile”, conclude Palmieri

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